CORONAVIRUS, TRIBUNALE RIDUCE DEL 40% L’AFFITTO AL RISTORANTE
ECCESSIVA ONEROSITA’ SOPRAVVENUTA, APPLICAZIONE DEI CANONI DI BUONA FEDE, CORRETTEZZA E SOLIDARIETA’: OBBLIGO DI RINEGOZIARE?
E’ stata riportata sui principali quotidiani la notizia di un provvedimento del Tribunale di Roma in favore di un commerciante (ristoratore), con importanti riflessi sia di diritto sostanziale che processuale, e che consente di riflettere sulle implicazioni contrattuali del COVID-19.
IL FATTO. Un ristoratore, che ha subito la chiusura forzata a seguito della pandemia del coronavirus e un notevole calo degli affari anche alla riapertura, ha chiesto al proprio locatore una riduzione del canone di locazione. Il locatore ha rifiutato.
Il ristoratore, per inibire alla proprietà di escutere la fideiussione a garanzia dei canoni non pagati durante le misure emergenziali, si è quindi rivolto al Tribunale in via d’urgenza chiedendo la riduzione del canone, affermando che, in assenza di riduzione, ci sarebbe stato il concreto pericolo di chiusura dell’attività.
Il Tribunale ha accolto il ricorso stabilendo in via cautelare (e in modo molto “creativo”), proprio in virtù dell’attuale stravolgimento economico causato dal coronavirus, una riduzione temporanea del canone di affitto: una riduzione del 40 % per i mesi di aprile e maggio 2020 e del 20 % per i mesi da giugno scorso a marzo del prossimo anno (Tribunale di Roma, sez. VI Civile, ordinanza 27 agosto 2020).
APPROFONDIMENTO E CRITICA.
Secondo il Tribunale di Roma è fondata la domanda del ristoratore che affermava la «violazione dei canoni di buona fede in senso oggettivo e della solidarietà … nella fase successiva alla stipulazione del contratto di locazione» da parte della proprietà. In altre parole la
proprietà «non avrebbe ottemperato all’obbligo, derivante dalla clausola generale di buona fede e correttezza, di ricontrattare le condizioni economiche del contratto di locazione a seguito delle sopravvenienze legate all’insorgere della pandemia per Covid-19».
In altre parole, il Tribunale sembra affermare la sussistenza, a carico del locatore, di un obbligo di accordare una riduzione del canone. Si tratta di una pronuncia a tratti innovativa e creativa, ma che può essere oggetto di critica.
Infatti, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, l’art. 1467 c.c. stabilisce in generale che la parte la cui prestazione è divenuta eccessivamente onerosa può chiedere la risoluzione del contratto, a meno che l’altra parte non offra un’equa modifica delle condizioni contrattuali. Applicando alla lettera detta norma, nel caso di specie, il locatore non poteva essere obbligato a concordare la riduzione del canone, ed invece il conduttore avrebbe avuto diritto a chiedere la risoluzione del contratto (e, tuttalpiù, un risarcimento danni).
Tuttavia, secondo il Tribunale di Roma, «deve ritenersi che lo strumento della risoluzione giudiziale del contratto “squilibrato” volta alla cancellazione del contratto, nella misura in cui quest’ultimo non contenga alcuna clausola di rinegoziazione derogatrice della disciplina legale, soprattutto per i contratti commerciali a lungo termine, possa in alcuni casi non essere opportuna e non rispondente all’interesse della stessa parte che, subendo l’aggravamento della propria posizione contrattuale, è legittimata solo a chiedere la risoluzione del contratto “squilibrato” e non anche la sua conservazione con equa rettifica delle condizioni contrattuali “squilibrate” ». Il Giudice afferma che “in siffatte ipotesi sorge, pertanto, in base alla clausola generale di buona fede e correttezza, un obbligo delle parti di contrattare al fine di addivenire ad un nuovo accordo volto a riportare in equilibrio il contratto entro i limiti dell’alea normale del contratto. La clausola generale di buona
fede e correttezza, invero, ha la funzione di rendere flessibile l’ordinamento, consentendo la tutela di fattispecie non contemplate dal legislatore”.
Il Giudice ha quindi ritenuto di poter modificare il contratto (riduzione del canone) anche contro la volontà di una delle parti del contratto, affermando di fatto l’ammissibilità in sede di merito di un’azione costitutiva ex art. 2932 c.c. di rinegoziazione a certe condizioni (determinabili dal Giudice) e anticipabile ex art. 700 c.p.c..
Tuttavia, a parere di chi scrive, se appare possibile affermare l’esistenza dell’obbligo di negoziare (ed eventualmente ri-negoziare) secondo buona fede e correttezza (art. 1375 c.c.), in base ai principi di solidarietà che permeano il nostro ordinamento (art. 2 Cost.), è invece assai discutibile che ciò possa condurre a dichiarare addirittura la sussistenza di un obbligo di modificare le condizioni di un contratto già concluso.
E’ vero che, l’eventuale risoluzione del contratto per eccessiva sopravvenuta onerosità comporterebbe inevitabilmente la perdita dell’avviamento per l’impresa colpita dall’eccessiva onerosità e la conseguente
cessazione dell’attività economica.
Tuttavia la parte non colpita dall’eccessiva onerosità, nel caso di specie la proprietà locatrice, potrebbe non avere interesse alla prosecuzione a nuove condizioni che non le convengono.
Si tratta quindi di una pronuncia che farà sicuramente discutere.